Sarà il Tribunale amministrativo regionale della Sardegna a decidere le sorti dei radar di produzione israeliana che la Guardia di finanza intende utilizzare per dare le caccia alle imbarcazioni dei migranti che tentano di raggiungere le coste italiane. Dopo aver sospeso a luglio i lavori d’installazione nei territori di Fluminimaggiore, Sant’Antioco e Tresnuraghes, mercoledì 5 ottobre il Tar si pronuncerà sulla revoca delle autorizzazioni, richieste rispettivamente dal Comune di Tresnuraghes e da Italia Nostra.
I radar fanno parte della nuova “rete costiera di profondità” del Comando della Guardia di finanza, per “difendere le frontiere esterne dai flussi migratori provenienti dal Nord Africa”. Co-finanziata dall’Unione europea, la rete prevede la realizzazione di quattro siti in Sardegna (Capo Sperone nell’isola di Sant’Antioco; Capo Pecora, Fluminimaggiore; Ischia Ruggia - Tinnias, Tresnuraghes; Punta Vedetta, Argentiera, Sassari); uno in Puglia (Gagliano del Capo, Lecce) e un altro in Sicilia (Capo Murro di Porco, Siracusa). Sei località protette, d’inestimabile valore ambientale e paesaggistico, che rischiano di essere irrimediabilmente deturpate dal piano militare.
La mobilitazione spontanea degli abitanti, delle associazioni ambientaliste e di alcune delle amministrazioni locali hanno già creato numerosi intoppi burocratici all’installazione degli impianti, ma adesso i No radar sperano che il Tar sardo chiuda definitivamente la partita con la Guardia di finanza e la società che ha ottenuto i lavori (Almaviva Spa di Roma), costringendo tutti a rivedere e magari cancellare i programmi di guerra elettromagnetica alle migrazioni.
Le avventate decisioni di autorizzare l’installazione dei radar in Sardegna sono state prese il 17 e 20 dicembre 2010 con le conferenze dei servizi svolte presso il Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche di Cagliari. A Tresnuraghes è stata scelta un’area di 300 mq ricadente sulla collina “Ischia Ruggia”, distante 400 metri dal mare e solo 200 dalla sottostante torre spagnola cinquecentesca. “Si tratta di un’area ricadente in zona E5 del Piano urbanistico comunale dove sono ammesse le sole attività relative all’agricoltura, alla pastorizia e alla zootecnia”, scrive nel suo esposto il legale del Comune di Tresnuraghes. “Il sito ricade altresì nell’ambito di paesaggio costiero del Piano particolareggiato e, inoltre, all’interno della Zona di Protezione Speciale “Costa di Cuglieri” (codice ITB033036 ), perimetrata ai sensi della Direttiva 92/43 CEE Habitat, ed individuata dalla Rete Ecologica Natura 2000, come sito di importanza comunitaria”. La conferenza dei servizi, oltre ad ignorare i divieti e le prescrizioni in materia di protezione ambientale, ha omesso di considerare il parere negativo all’installazione, espresso il 17 dicembre dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente ARPAS, secondo cui l’intensità del campo elettrico creato dal radar “superava il limite di esposizione di 20 V/m e, comunque, non era in grado di garantire il rispetto degli obiettivi di qualità stabiliti dalle normative”.
Ancora più controversa l’autorizzazione ai lavori all’interno dell’ex stazione radio di località Capo Sperone – Su Monti de su Semaforu di Sant’Antioco. “L’intera isola, in particolare la zona sud meno antropizzata, rappresenta un ecosistema molto delicato e un quadro paesaggistico assolutamente unico e irripetibile per cui qualsiasi intervento potrebbe mettere a rischio il delicato equilibrio presente”, segnala Italia Nostra attraverso i propri legali, Andrea Pubusa, professore di diritto amministrativo dell’Università di Cagliari e Paolo Pubusa. L’area, nello specifico, era stata trasferita dai militari alla regione Sardegna, ma con delibera della giunta regionale del 4 novembre 2010, “rilevato il preminente interesse per la sicurezza dello Stato rispetto ai vincoli paesaggistici e storici esistenti nella zona”, veniva concessa in comodato alla Guardia di finanza.
“Capo Sperone è una zona di particolare pregio ricadente nell’ambito n. 6 del Piano paesaggistico regionale denominato Carbonia ed Isole Minori”, aggiunge Italia Nostra. “Si tratta inoltre di una Zona di protezione speciale (ZPS), dove per legge qualunque intervento deve essere sottoposto a un’appropriata valutazione d’incidenza. Nonostante le particolari tutele in virtù di proprie immodificabili caratteristiche di ordine naturalistico, paesaggistico e archeologico, in oltre 200 mq di superficie sono previste una colata di cemento armato, previa estirpazione di tutte le essenze protette; la realizzazione di un edificio di notevoli dimensioni; la costruzione di tralicci, antenne e recinzioni metalliche in cui gli animali selvatici e gli uccelli possono rimanere impigliati”.
Oltre a rilevare che la concessione dell’autorizzazione sarebbe stata viziata dall’assenza in conferenza dei servizi del Ministero dell’ambiente, competente in materia di Siti d’interesse nazionale, Italia Nostra ricorda come il radar di Capo Sperone viene ad incidere dal punto di vista elettromagnetico in una zona assai popolata: a meno di 700 metri in linea d’area sorgono diverse abitazioni in cui risiedono permanentemente famiglie con bambini; poco più lontano operano due importanti insediamenti turistici e una comunità di recupero per tossicodipendenti con numerosi giovani e operatori sociali. A meno di mille metri c’è invece la spiaggia di S’Acqua ‘e sa Canna, meta di numerosi bagnanti nella stagione estiva. “Eppure nulla viene detto sugli effetti dei campi elettromagnetici derivanti dal radar e dal ponte radio sulla salute della popolazione”, aggiunge Italia Nostra. “A Sant’Antioco si sono poi verificate gravi anomalie: l’ARPAS, in meno di quattro giorni, un termine inferiore a quello previsto dalla legge 241/90 e comunque incongruo in una materia così complessa ed inusuale, ha dato il proprio parere favorevole ad un impianto che era stato bocciato per Tresnuraghes. L’agenzia regionale ha poi trascurato del tutto che oltre al radar, altra fonte di irradiazione è costituita dall’antenna del ponte radio che opera con una frequenza maggiore. Ciò costituisce un’ipotesi di esposizione multipla che obbligava a compiere le verifiche previste”.
Secondo il prospetto informativo fornito dalla società israeliana produttrice, la Elta Systems, i radar sono quelli modello EL/M-2226, facenti parte della famiglia di trasmettitori Linear Frequency Modulated Continuous Wave (LFMCW) in X-band (dagli 8 ai 12.5 GHz di frequenza), che operano pertanto emettendo microonde, ovvero onde molto corte comprese tra i 300 megahertz e i 300 gigahertz, estremamente pericolose per l’uomo, la fauna e la flora.
“Gli studi in proposito non sono per nulla rassicuranti”, scrive Italia Nostra. “Fin dal 1987 il prof. Ross Adey ha realizzato una ricerca per il National Cancer Institute sul rischio delle onde elettromagnetiche. Sono stati effettuati studi sui militari che operano vicino ai radar delle basi: i casi più eclatanti sono stati quelli negli USA (questo tipo di radar viene ora localizzato nei deserti); di Skrunda, in Lettonia; in Belgio; in Germania (69 casi di cancro in una singola base), per non parlare della vicina Quirra, nella quale recentemente i magistrati hanno sottoposto a sequestro proprio radar di tale tipologia”.
Gli ambientalisti ricordano che in occasione del convegno internazionale sull’elettrosmog, tenutosi il 17 febbraio scorso a Roma, è emerso con chiarezza che le onde sono potenzialmente pericolose per un raggio di 4-5 km. dalla sorgente radar e per questa ragione vengono scelte zone scarsamente popolate. “Le onde penetrano nel cervello per alcuni millimetri, disturbano il sangue e i microorganismi, possiedono una potenza energetica circa diecimila volte superiore rispetto a quella delle onde di 10 Mhz. E gli effetti studiati non sono da poco: alterazione della comunicazione fra neuroni (difficoltà soprattutto nei bambini di memoria, concentrazione, coordinazione motoria), alterazione della chimica nel cervello (e questo si verifica già con emissioni di 100 volte inferiori agli standard accettati e considerati sicuri dalla legge), infertilità maschile (negli animali da laboratorio è stata evidenziata fino alla quinta generazione successiva), cancro ai testicoli, leucemia soprattutto infantile, cancro al seno, melanomi epiteliali, tumori al cervello, aumento degli aborti, malformazioni nei nascituri, mutazioni genetiche, problemi agli occhi (cataratta), ustioni alla pelle, depressione”.
Sui radar della Guardia di finanza, il 26 settembre 2011 è stato pure presentato un esposto alle Procure della Repubblica di Cagliari, Sassari ed Oristano. Italia Nostra e il Comitato territoriale No Radar Ischia Ruja chiedono d’indagare in particolare sulle reali motivazioni che starebbero dietro la scelta di ben quattro stazioni in Sardegna e sulla regolarità delle procedure adottate per l’assegnazione dei lavori. “Considerato che il programma è finanziato con risorse del PON Sicurezza per lo sviluppo 2007-2013 e dal Fondo europeo per le frontiere esterne e la gestione dei flussi migratori, non si capisce come i radar previsti lungo la costa nord occidentale della Sardegna possano essere utilizzati per contrastare le imbarcazioni di migranti”, afferma Graziano Bullegas, segretario regionale di Italia Nostra. “Nessun evento migratorio illegale ha mai interessato tali siti e, d’altronde, anche i flussi avvenuti nel sud dell’isola sono stati di quantità ridotta negli anni 2006 e 2007 e quasi del tutto cessati dopo il 2008, salvo qualche decina di arrivi negli ultimi mesi”.
Nonostante la Commissione europea abbia stabilito che l’acquisizione delle forniture con fondi Ue avvenga attraverso la pubblicazione di un bando di gara europeo con procedura aperta e informazione specifica delle popolazioni interessate, il progetto e il relativo iter autorizzativo dei radar anti-migranti sono avvenuti invece - secondo gli ambientalisti - “in piena segretezza” e l’appalto è stato aggiudicato il 22 ottobre 2010 dalla Guardia di Finanza “senza l’indizione e la previa pubblicazione del bando”. “L’attività di montaggio degli impianti, inoltre, sembrerebbe sia stata subappaltata ad altra ditta, nonostante sull’avviso di aggiudicazione sia espressamente escluso il subappalto dell’opera”.
Le accuse sono state seccamente respinte dall’ingegnere Piero Rossini, responsabile sicurezza di Almaviva Spa, nel corso di un’intervista a Radio24. “Quello che è stato scritto in merito alle assegnazioni dirette è assolutamente falso”, ha dichiarato Rossini. “Abbiamo vinto una gara a cui abbiamo partecipato noi, Finmeccanica, la Gemma e un altro paio di ditte che però poi non hanno presentato offerte. Prima di cominciare i lavori abbiano ricevuto tutte le autorizzazioni compresa quella d’impatto ambientale. Dopo è montata la fronda di questi circoli ambientalisti no global, siamo arrivati a un incontro con i sindaci che, in periodo elettorale, hanno disconosciuto le autorizzazioni ufficialmente emesse. E allora abbiamo sospeso i lavori. Stiamo però valutando anche altri siti magari all’interno di esistenti zone militari in modo da vedere se riusciamo a venire a capo del problema…”.
Della presunta gara di Almaviva e concorrenti non c’è però traccia nell’avviso di aggiudicazione di appalto (GU/S S212), pubblicato dal Comando generale della Guardia di finanza il 30 ottobre 2010. Nell’avviso si spiega invece che la procedura adottata per i radar anti-migranti è stata “negoziata senza indizione di gara” e “senza la previa pubblicazione di un bando di gara nella gazzetta ufficiale dell’Unione europea”, con la motivazione che “i lavori e i servizi possono essere forniti unicamente da una determinata fornitrice, la Almaviva SpA di Roma, che possiede le prescrizioni di natura tecnica e i diritti esclusivi dei materiali”. Valore della commessa, 5 milioni e 461.670 euro, Iva esclusa. L’emergenza migranti si conferma ancora un ottimo business per il privato.
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