Rappresentanti per la sicurezza a cui è impedito controllare i luoghi degli incidenti sul lavoro, soppressione delle trattenute sindacali nonostante sentenze favorevoli della Cassazione, assemblee sindacali tenute fuori dai cancelli, lavoratori ed ex delegati controllati e minacciati dalla sicurezza aziendale. La serie infinita di discriminazioni subite dalla Fiom nelle fabbriche Fiat è senza precedenti nella storia della democrazia italiana e riporta alla memoria i reparti confino degli anni ‘50.
Una discriminazione però che viene da lontano. «A decorrere dal 31 dicembre 2011 verrà meno per gli associati alla Fiom la base attributiva dei diritti sindacali», scriveva Raffaele De Luca Tamajo con anni di anticipo. Non si tratta di un mago, ma di uno degli avvocati della Fiat. In un articolo su “Argomenti di Diritto del Lavoro” del 2010 annunciava già l’espulsione dei metallurgici della Cgil da tutte le fabbriche del gruppo Fiat in Italia, cancellando qualunque diritto agli 11mila iscritti su 86mila dipendenti. Di più. In quello stesso scritto spiegava con dovizia di particolari come il «modello Marchionne» fosse l’«epifania di nuove relazioni industriali» e come «la linea ispiratrice della sfida della azienda torinese» sia stata teorizzata e scientemente portata avanti molto prima dello scontro su Pomigliano. Già nel 2009, quando Marchionne veniva ancora considerato un «socialdemocratico», il manager dei due mondi stava preparando il suo attacco al «sindacalismo ideologico».
Il giro d’Italia dell’apartheid Fiat, la dura vita da fantasmi degli ex delegati e rappresentati Fiom senza più agibilità sindacale, non può che partire dove tutto ha avuto inizio: il Giambattista Vico di Pomigliano d’Arco. È di mercoledì sera l’annuncio di Sergio Marchionne ai sindacati firmatari dell’accordo di primo livello di altre 662 assunzioni alla newco. L'organico lunedì arriverà così a 1.845 unità. Anche questa volta, quasi certamente, non ci sarà alcun tesserato della Fiom nonostante oltre 600 lavoratori sui 4.500 della vecchia azienda fossero tesserati per quel sindacato. Più che la matematica, è la giurisprudenza a spiegare la stranissima coincidenza: se la Fiat assumesse anche un solo tesserato Fiom, la federazione della Cgil potrebbe far valere la sentenza del giudice Ciocchetti che ha condannato il Lingotto per comportamento antisindacale, permettendo alla Fiom di nominare i suoi rappresentanti all’interno dell’azienda. La discriminazione è lampante, ma proprio per questo la Fiat non può cedere: le conseguenze anche di una sola assunzione sarebbero dure da digerire, la Fiom potrebbe bloccare lo stabilimento simbolo della strategia Marchionne. L’altra inconfessabile verità sul futuro di Pomigliano che la Fiat non può svelare è il numero di assunzioni finali: al tempo del referendum i sindacati che hanno firmato il contratto (Fim, Uilm, Fismic, Ugl, Unione Quadri) hanno fatto campagna elettorale per il “Sì” promettendo che tutti sarebbero stati riassunti nella nuova Fabbrica Italia Pomigliano. In realtà perfino nelle più rosee previsioni sul successo della Nuova Panda, non si arriverà mai a quella cifra, assai probabile che non si vada oltre i 3mila. E se i numeri sono questi per gli iscritti Fiom il futuro è segnato.
Le immagini degli operai Fiom che lasciano le salette sindacali portando via le foto in bianco e nero di Berlinguer e Trentin hanno fatto il giro del mondo. «Le abbiamo chiuse in scatole di cartone e portate in Quinta Lega (la casa della Fiom a Corso Unione Sovietica, Ndr) pronte per quando rientreremo in fabbrica e intanto continuiamo ad essere presenti girando fra le varie porte con il camper Fiom», racconta Edy Lazzi, delegato di Mirafiori. Il proselitismo contro il modello Marchionne sta andando avanti con successo: «I lavoratori con cui parliamo lo sanno benissimo: anche i due nuovi modelli annunciati per il 2014 confermano che fino ad allora si andrà avanti a colpi di cig: ma ad aprile finirà quella straordinaria e probabilmente la Fiat sarà costretta a chiedere quella per ristrutturazione aziendale». Nel frattempo però l’azienda sta facendo molto di peggio: «L’altro giorno ai nostri Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) è stato negato di poter controllare una postazione di lavoro dove si era verificato un incidente prima delle vacanze di Natale. È una guerra continua di lettere e contro lettere, di contestazioni ai nostri lavoratori ed ex delegati».
Sull’argomento Rls va molto peggio alla Sevel di Atessa, la fabbrica dei furgoni Ducato. «Con una lettera del 31 gennaio l’azienda ci ha comunicato che i nostri Rls erano stati sostituito con altri due nominati dall’Ugl - spiega Marco Di Rocco, segretario Fiom di Chieti - . È il primo caso in Italia ed è una palese violazione non dei contratti sindacali, ma della legge sulla Sicurezza sul lavoro e per questo faremo ricorso». Atessa però vanta anche un altro primato. In questo stabilimento due giorni fa è stato sottoscritto il primo contratto separato post-Pomigliano. È stata la Fim a non sottoscrivere un verbale con cui l’azienda e gli altri sindacati si accordavano ad utilizzare i permessi residui dei lavoratori per i quattro giorni di stop al lavoro per la protesta dei camionisti della scorsa settimana. «Abbiamo detto “No” perché quasi la metà dei 5mila lavoratori li avevano già utilizzati - spiega Domenico Bologna, segretario della Fim di Chieti - e per noi non è giusto che l’azienda vada a toccare i permessi di quest’anno. Siamo coerenti con la nostra linea e non faremo retromarce», promette Bologna. Uno dei tanti scricchiolii del sistema Marchionne.
Altro tema su cui in Abruzzo la Fiat mantiene la primogenitura è quello delle trattenute sindacale. «Noi siamo stati i primi a cui è stato bloccato quell’1 per cento del salario che il lavoratore decide di darci ogni mese e che ci permette di sopravvivere. Il blocco è stato fatto a noi e non all’Usb, che come noi non ha firmato l’accordo di gruppo», continua Di Rocco. Il motivo è semplice: questo stesso sindacato ha vinto un ricorso, confermato dalla Cassazione. Ma la Fiom dal 2000 a Chieti utilizza la cosiddetta “cessione del credito”: «Al momento del tesseramento, il lavoratore ci delega ad usufruire di quella cifra al di là degli accordi con le aziende - continua Di Rocco - e anche qui faremo valere i nostri diritti, sicuri di vincere». Una vera spada di Damocle sulla Fiat, visto che il giudice del Lavoro di Lanciano ha già dato torto all’azienda sui contratti a tempo, costringendo il Lingotto a reintegrare i primi due di circa 300 lavoratori nelle stesse condizioni.
La vita per la Fiom è durissima, ma qualche soddisfazione arriva ancora. Il 27 gennaio all’Iveco di Brescia è stata una giornata campale. Quel giorno i sindacati firmatari tenevano una delle poche assemblee di questo periodo per spiegare le ragioni del nuovo contratto. Ad uguale richiesta della Fiom, l’azienda aveva vietato a Maurizio Landini di entrare in fabbrica. «Sotto la pressione dei capi e di alcuni Rls che invece di preoccuparsi di un grave incidente sul lavoro (45 giorni per un dito schiacciato, senza che noi abbiamo potuto assistere), si sono ritrovati in soli 230 in sala mensa - ricorda Michela Spera, segretario Fiom di Brescia - tra cui solo 30 operai, gli altri erano capi e impiegati. Noi invece abbiamo deciso di tenere lo stesso l’assemblea al cancello di entrata e ad ascoltare Maurizio c’erano il doppio di persone ad ognuno dei due turni, mentre lo sciopero di due ore ha registrato adesioni del 55 per cento al primo e del 70 per cento al secondo».
Con l’ultimo contratto il modello Marchonne ha poi travalicato i confini sindacali di federazione. Nel gruppo Fiat ci sono anche aziende che applicavano il contratto della chimica come la Pcma. La protesta della Filctem per la perdita di diritti e di salario subito dai lavoratori dei 1.100 lavoratori sui cinque stabilimenti italiani della “Plastic Components and Modules Automotive” ha portato ad una causa già arrivata a giudizio. Un altro giudice del lavoro di Torino, Edoardo Denaro, ha dato ragione alla Fiat per la trasposizione del contratto, motivandolo con l’articolo 8 del decreto-manovra di Ferragosto di Sacconiana memoria, condannando però nuovamente il Lingotto per comportamento antisindacale.
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